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May 28, 2021

Il DP Italiano Matteo Cocco su “Volevo nascondermi” girato con ALEXA Mini.

Il film di Giorgio Diritti girato con ALEXA Mini ha fatto meritare all’autore della fotografia Matteo Cocco il premio EFA per la Miglior Fotografia e la candidatura ai David di Donatello 2021.

May 28, 2021

Matteo Cocco, nato in Toscana nel 1985, ha esordito professionalmente a Berlino, dove ha firmato la fotografia del suo primo film: “La moglie del poliziotto” di Philip Gröning, vincitore del Premio Speciale della Giuria alla Mostra di Venezia nel 2013. Nove anni dopo ha nel curriculum 15 film - girati soprattutto tra Germania e Italia - che hanno lasciato il segno, come “Per amor vostro”, “Sulla mia pelle” e ora “Volevo nascondermi” di Giorgio Diritti. Girato con ALEXA Mini, il film sul pittore Antonio è un viaggio nel mondo interiore di un artista “storto”, rifiutato e disprezzato, ma poi anche conteso e ammirato grazie al suo talento selvaggio.
 
Come è avvenuto l’incontro con Giorgio Diritti?

Mi ha chiamato nel periodo in cui iniziava a ragionare sul film su Ligabue, che aveva dentro di sé da anni. Aveva sentito parlare di me da Silvio Soldini, con cui avevo girato “Il colore nascosto delle cose”. Questa è stata la mia prima collaborazione con lui, ma conoscevo bene la sua filmografia, compreso il suo esordio, il bellissimo “Il vento fa il suo giro”, uno dei rari esempi di vero cinema italiano indipendente. “Volevo nascondermi” compie un’esplorazione molto diversa dell’immagine cinematografica rispetto ai suoi film precedenti, ma rispetta l’essenza del suo fare cinema.

Che impostazione visiva cercavate?

Ho voluto creare un’immagine con un forte impatto cinematografico, che al tempo stesso restituisse un’idea di naturalezza. La fotografia aveva la necessità di essere verosimile nella sua percezione, ma leggermente elevata rispetto alla realtà. Una sorta di realismo poetico che ci porta altrove.
 
In che modo vi siete messi in relazione con il mondo pittorico di Ligabue?

Il riferimento ai dipinti è stata una delle sfide più complesse in termini visivi. Durante la preparazione del film ho trascorso diversi giorni a Genova per studiare da vicino i quadri di Ligabue. Ne osservavo i colori e la tecnica. Cercavo di capire il suo stato d’animo dietro ogni pennellata. Ligabue non ha avuto una formazione artistica e il suo modo di mettere il colore sulla tela è molto grezzo, la superficie dei quadri è sporca, le pennellate selvagge. La sua sofferenza ha una rappresentazione materica. Volevo far emergere proprio quell’elemento primordiale, quell’energia, che sono secondo me il fulcro del film. Mi sono appoggiato alla struttura narrativa, caratterizzata da una frammentazione dei piani temporali, e ho assegnato ad ogni momento dei colori specifici che si legano alle epoche storiche.

Non ci sono singole inquadrature che rievocano i quadri dell’artista, ma al termine della visione tutte quelle immagini e quei colori si ricompongono nella mente dello spettatore ed evocano i mondi del pittore. Nel film ci sono tutti i colori di Ligabue: i suoi verdi, i suoi blu, i suoi rossi, i suoi gialli. Ma sono colori scomposti, che si ricompongono a livello emotivo, più che razionale.
 
Perché ha scelto di girare con una ALEXA Mini?

Era per me fondamentale avere una macchina da presa piccola e compatta, visto che abbiamo lavorato sempre in ambienti reali o riadattati. La leggerezza della macchina permetteva di montarla in ogni luogo e posizione. Anche la gestione del workflow è stato un fattore fondamentale che ha determinato la scelta. Il mio DIT Lorenzo Capra si è occupato della gestione di tutto il materiale sul set, monitorando la delicata gestione delle immagini con il laboratorio Laserfilm a Roma.

Come si è trovato con ALEXA mini nelle diverse situazioni di ripresa?

Non credo di essere la persona più adatta per parlare della ALEXA perché ogni volta che ci lavoro cerco di distruggerla! La macchina è un capolavoro di ingegneria ed elettronica, ma io cerco sempre di portarla ai suoi limiti, usando lenti “imperfette” ed esponendo l’immagine in maniera estrema. Sono sempre curioso di scoprire cosa riesce a catturare il sensore. C’è una scena del film che lo spiega bene: c’è un momento in cui Ligabue è nella sua stanza di notte e non riesce a darsi pace. C’è una candela accesa, lui è avvolto nell’oscurità, non riesce a star fermo, fa avanti e indietro davanti al quadro appena dipinto. Sul set non si vedeva praticamente nulla a occhio nudo e proprio quell’atmosfera ha permesso a Elio Germano di sentirsi da solo, pur non essendolo. In termini puramente tecnici è un'immagine imperfetta: c’è rumore, ci sono sporcature, ma la scena funziona molto in termini emotivi.
 
La scelta e l’uso delle lenti hanno avuto un forte impatto espressivo.

Mi affido al rental D-Vision, con cui ho costruito un solido rapporto negli ultimi anni. Loro conoscono il mio desiderio di voler esplorare lenti più vecchie e poco utilizzate, che spesso si trovano in fondo al magazzino. Loro conoscono il mio desiderio di spingermi verso gli estremi. Ho fatto dei test con Elio Germano, provando diverse serie di obbiettivi, alcune di queste molto moderne. Quando ho montato sulla macchina una vecchia serie Leitz mi sono innamorato! Il 15 mm di quella serie ha un’aberrazione che sul sensore dell’ALEXA crea una forte sfocatura ai bordi dell’immagine. Si tratta chiaramente di un difetto, ma sia io che Giorgio Diritti lo abbiamo accolto con gioia. Quel 15 mm è stato usato tantissimo nel film e ne ha determinato il carattere visivo. Certo, lavorare così è complicato perché lenti di questo tipo performano in modo imprevedibile e questo comporta un margine di rischio, ma il mio assistente Eugenio Cinti Luciani ha fatto in modo che tutto andasse liscio!
 
Come ha gestito le luci?

In questo film ho usato la luce per creare degli accenti, per elevare il film dal realismo. Ho giocato con il mix tra luce naturale e luce artificiale. Il film è girato interamente con luci a incandescenza. Non ci sono LED o scariche, non c’è nulla di contemporaneo e moderno.

Che settaggi ha usato?

Davvero molto semplici. La sensibilità era solitamente compresa tra gli 800 e i 1000 ISO. Anche in esterno giorno uso spesso alte sensibilità. La ALEXA Mini performa già in modo incredibile con le alte luci e i forti contrasti, ma quando sposto la sensibilità verso l’alto quelle alte luci subiscono un’ulteriore varietà di toni per me molto interessante. Ho girato tutto il film con la stessa temperatura colore di 5.600 gradi Kelvin, sia in esterni che in interni, perché per me era un ottimo punto di riferimento per il controllo del colore.
 
Ha girato in ARRIRAW?

Sì, nei film fatti in precedenza non ne avevo mai avuto bisogno, tutto ciò che ottenevo in ProRes era più che sufficiente per il lavoro che dovevo fare in color correction. Qui ho fatto dei provini e mi sono reso conto che c’era bisogno di girare in ARRIRAW, dato l’intenso lavoro sulle sfumature di colore.
 
In che misura ha usato il monitoraggio sul set?

Con il mio colorist Nazzareno Neri, in fase di test, abbiamo trovato la LUT di base del film, quella usata per l’età adulta di Ligabue. Poi ne abbiamo sviluppate altre per i diversi momenti del film. Abbiamo girato in due blocchi: sei settimane d'estate e due, per la parte dell’infanzia, in inverno. La LUT è stata costantemente aggiustata perché sapevo dove volevo arrivare ma era molto difficile arrivarci. Durante le riprese faccio catturare dal DIT dei fotogrammi chiave delle scene girate durante il giorno, poi le elaboro al computer e medito sulle scelte fotografiche e relative al colore. Dopodiché condivido queste immagini con i capireparto: è un modo molto utile per riflettere sul lavoro ed eventualmente aggiustare il tiro. Settimana dopo settimana questo archivio di immagini cresce e mi permette di capire se le mie idee sul percorso cromatico funzionano.
 
Com’è andata la color correction?

È stata lunghissima, è durata 16 giorni! Ci sono state delle pause dovute a degli aggiustamenti di montaggio. Questo mi ha dato la possibilità di distaccarmi dal film. Ad ogni passaggio di color ho spinto il film sempre di più in termini di colore e contrasto. Volevo che l’immagine fosse il risultato di uno sguardo contemporaneo sul passato.